Re: Quanti Motociclisti Ci Sono...
Escludo che col telaio bassissimo e leggero dello Yuma , anche modificandolo radicalmente, si potesse ricavare una moto da fuoristrada: per restare sui dettagli più semplici, non ci sarebbero neppure stati il serbatoio, la sella ed essendo strettissimo non ci sarebbero passati i parafanghi e poi ogni angolo caratteristico del telaio (interasse, avancorsa, lunghezza e luce ruota del forcellone) non avrebbero consentito di montare le ruote da 21/18 che avevano ormai tutte le moto da regolarità. In quanto alla coppia, però l'aspes 125 con la termica raffreddata ad aria era davvero da motore da pista, col tiro ai bassi quasi inesistente.
Su quel motore, avendo conosciuto e lavorato con un uno dei suoi "creatori", ho anche scritto un articolo per una nota rivista, quindi ne conosco davvero vita, morte e miracoli. Ad esempio, non tutti sanno che le dimensioni strabordanti del gruppo termico (inizialmente largo ben 31 cm, poi ridotti applicando degli inserti negli stampi) derivava da una mancata comunicazione tra i diversi disegnatori parti-time coinvolti nella stesura dei disegni quotati?
Altra curiosità: il cambio dei primi prototipi del 125 aspes era quello dell'Aermacchi Aletta (uno dei papà del 125 aspes infatti aveva lavorato in MV e poi in Aermacchi) e che il carter dei primi due prototipi di quel motore era nato da un carter del Rumi bicilindrico, cui era stato tappato l'alloggiamento per il gruppo termico posto anteriormente nel Rumi, e con una flangia fresata dal pieno saldata sulla parte superiore?
Se la sperimentazione a livello del carter era solo un evento contingente, quella sul cambio in un certo senso invece questo motore: perchè la spaziatura interna dei rappporti, troppo distanziata per una moto da fuoristrada, enfatizzava i problemi di erogazione, così come il posizionamento nella parte inferiore del leveraggio frizione, risultava poco adatto a una moto destinata a muoversi in ambienti fangosi.
Molti considerano come unico "padre" di questo motore l' Ing. Vito Consiglio , titolare dalla Asco Motori, in realtà chi conosce da vicino la storia di quetsa marca ormai scomparsa, sa che l'ing. Consiglio si occupò solo di industrializzarlo, ma i genitori erano altri, in particolare un tecnico noto a pochi: il bresciano Gianfranco Maestroni, ora apprezzato produttore di scarichi per conto terzi.
Il Laverda SFC prima serie i freni in magnesio e a quattro ganasce li aveva in opzione, ma erano pressochè obbligatori se uno voleva fermarsi, anche perchè la moto era davvero veloce oltre che pesante. però erano dei Ceriani, simili ai Fontana ma prodotti dalla stessa azienda che fornina anche le sospensioni. Se la tua aveva i Fontana potrebbe essere stato uno di quegli esemplari uscito con i freni Grimeca di serie e successivamente equipaggiato con i quattro ganasce. Di questo sono assolutamente certo: nessuna Laverda SFC tamburo è uscita coi freni Fontana dalla fabbrica. (avevo un dubbio perchè tu mi eri sembrato sicuro, ma ho verificato)
Un prima serie, anche con i freni in magnesio che facevano guadagnare qualche chilo, era comunque una moto che a secco stava poco sotto i 220 kg (215-218 anche se era dichiarata come più leggera, a 208kg.)., quasi una ventina, quindi, più del seconda e del terza serie.
Come ti dicevo, dopo la prima , che ho stupidamente venduto a un ricco collezionista, anni dopo ho comprato la seconda serie, quella con ancora le ruote a raggi ma i tre dischi e l'accensione ancora a puntine. Il terza serie è quello con l'elettronica e monta quasi sempre le ruote in lega (a dire il vero non particolarmente leggere, perchè le Flam, fonderia che in quel periodo era entrata a far parte del Gruppo Laverda, come tutti i prodotti di Breganze, era dimensionato con una certa abbondanza..
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Le prime SFC della prima serie avevano effettivamente gli AMAL (ma quelli originali inglesi, non gli spagnoli che erano per le moto da cross tipo Ossa, Montesa e Bultaco, che erano completamente differenti come passaggi inerni e tarature) ma credo sia impossibile che fossero da 40mm., Occhi oa non confonderti con le sigle, perchè non sempre corrispondono alla effettiva sezione del Venturi: classico l'esempio di quelli che sulle moto da cross vedevano il Bing con in rilievo sul lato la sigla 54 e andavano in giro tutti contenti perchè il loro 125 o 250 aveva un carburatore addirittura da 54...che invece magari era un 28 o al massimo un 32 mm.
Il modello Amal montato sull' SFC prima serie era il Concentric MK1 da 36 mm e precisamente il tipo 1036/6 e 1036/7 (il numero dopo lo slash indicava rispettivamente dx e sx) . Con dei 40 , quei condotti valvole e quelle cammes che aveva il prima serie , sarebbe andata peggio.
Gli esemplari di SFC con gli Amal montati di primo equipaggiamento secondo i piani avrebbero dovuto essere 150 (salvo successivi riordini) ,ma furono in realtà molte meno, grossomodo un terzo, e per due motivi , uno tecnico, uno abbastanza "curioso"-
Prima di tutto le lamentele di diversi clienti che con gli Amal non si trovavano granchè bene con la regolazione della carburazione (probabilmente perchè i loro meccanici non li conoscevano a sufficienza ma và detto che gli Amal hanno sempre sopportato male il calore, e sulle moto inglesi con cilindri in ghisa era un calvario, sul Laverda meno, ma restavano pur sempre ostici...) e poi perchè una buona parte del lotto di quei carburatori ad un certo punto sparì misteriosamente dal magazzino. Nel frattempo la Dell'Orto aveva reso disponibili i nuovi PHF per cui non solo la produzione proseguì con questi, ma anche la maggior parte delle moto uscite dalla fabbrica con gli Amal , col passare del tempo venne aggiornata e oggi con gli Amal ne rimangono poche, almeno tra quelle usate regolarmente.
Tutto giusto, per il resto, e anche sulle velocità delle giapponesi nulla da eccepire (quel Kawa ZZR, poi, era un vero missile)...ma prendi davvero con le molle i 100 HP del Laverda 3C, visto che a malapena li avevano ufficiali col telaio a traliccio (difatti ne dichiaravano 95-98. e la massima evoluzione del Laverdone, con la RGS di Balbi sarebbe arrivata a superare di poco i 100, ma per una moto da pista.
Non molti li conoscono, ma i due tricilindrici Laverda più potenti mai visti (e non nelle chiacchere da bar ma al banco prova), sono stati quello di Giamberto "Bertu" Bollea, un piemontese davvero geniale che era montato su un telaio Motoplast (ne parlò ai tempi anche Mototecnica) e , in diversi esemplari, quelli preparati davvero magistralmente dall'ingegnere austriaco Franz Laimboeck, che oltre a correre con quelle moto, le preparava per conto dell'importatore locale Sulzbacher.
Le Laverda Sulzbacher 1200 SC erano prodotte in piccola serie ed omologate, da noi sono poco note ma erano delle vere bestie. Ma i cavalli di un meccanico che hai nominato, fidati sono sempre stati "particolari" (leggi con la tara) e mi fermo qui perchè di quel personaggio non ho piacere di parlare.
Di Laverda tre cilindri comunque ne ho avute tre e me le sono sempre restaurate e mantenute nella mia officina : una RGS Jota (piuttosto rara qui da noi, essendo destinata ai mercati stranieri), una 1200 TS (simpatica per il granturismo e con un tiro bestiale ma massiccia e per me fin troppo alta), e una da corsa, finita negli USA da parecchi anni.